2020: un anno di viaggi stravolto dal virus
Chi mi conosce sa che amo viaggiare. In particolare senza un piano preciso, e senza farmi troppi problemi dal punto di vista pratico: improvvisando e fidandomi della buona sorte. Ho dimostrato a me stessa che non serve avere tutto pronto e pianificato, e ho scoperto una passione per questo stile di vita senza le tradizionali “fondamenta” fisse, ma sempre in movimento.

Dal 2016 ad oggi mi sono appoggiata a diverse opportunità: ho partecipato a decine di progetti di volontariato, e ho ottenuto tutti e tre i WHV, “Working Holiday Visa” che permettono ai giovani di partire per Canada, Australia e Nuova Zelanda con la possibilità di lavorare legalmente per 6 mesi o un anno, a seconda dei casi. Ero in Canada nel 2017, in Nuova Zelanda nel 2019, e quest’anno sarei dovuta partire per l’Australia.

Ho adorato sia Canada che NZ, ma, se devo essere sincera, l’Australia per qualche motivo non mi interessava. Fino all’ultimo momento non credevo di voler richiedere il WHV. Però, l’anno scorso, mentre mi avvicinavo alla deadline (compleanno dei 31), iniziava a salirmi la FOMO (Fear Of Missing Out, la paura di perdere occasioni) e mi si è presentato il dilemma: fare richiesta o perdere quest’opportunità per sempre, rischiando di pentirmene amaramente? Il WHV, infatti, lo si può richiedere solo una volta nella vita: entro il compleanno dei 31 per Australia e NZ ed entro quello dei 36 per il Canada. Poi si ha un anno di tempo per attivarlo, entrando nel paese.
Anche se non ho una ragione precisa per snobbare l’Australia, il mio intuito ha dimostrato negli anni di essere una buona bussola quindi gli do, di solito, molto peso. Ma nel caso dell’Australia non riuscivo a togliermi la maledetta FOMO dalla testa. Quindi, come compromesso, mi sono lanciata una sfida: se avessi trovato in una settimana i soldi per pagarmi il visto, che è abbastanza costoso, l’avrei richiesto.
E li ho trovati. Dal nulla, ho guadagnato 600NZD in 4 giorni, nonostante avessi una caviglia rotta. Ho fatto richiesta a una settimana dalla deadline, ho ottenuto il visto, e avrei dovuto attivarlo entro Agosto 2020. Entro pochi giorni fa.

E invece sono in Italia. Ma vivo in Scozia, e a quanto pare ho una relazione fissa. Cose che non avrei mai immaginato per il 2020.
I miei piani originari per il 2020 erano ben diversi. Atterrata in Kerala a inizio Gennaio, avrei dovuto restare in India per 6 mesi, intermezzati da un mese di Nepal perché un italiano può restare in India al massimo 90 gg di fila. Poi, in luglio, per attivare il mio WHV australiano sarei volata da Nuova Delhi a Melbourne. Avevo già tutti i voli, comprati con i soldi della vendita della mia auto in NZ.
Per la prima volta dopo anni di viaggi in solitaria, in India non ero sola: stavo viaggiando con Josh, scozzese conosciuto a inizio 2019 quasi di striscio, mentre il mio visto per la NZ iniziava e il suo finiva. Lui però non mi avrebbe seguito in Australia, e dato che la distanza ha già dimostrato di non funzionare per noi, l’idea era praticamente di lasciarci. Non ne eravamo contenti, ma non mi andava di rinunciare all’Australia, mentre lui aveva già consumato il suo WHV australiano.
L’idea, essendo entrambi fissati con i viaggi in solitaria, era che anche in India, se ci andava e quando ci andava, ci saremmo divisi. Entrambi siamo abituati ad essere indipendenti. Però assieme si stava sorprendentemente bene, forse anche per le poche pressioni.

Però in gennaio le cose hanno iniziato a farsi surreali. Il virus si espandeva, a febbraio ha colpito l’Italia, e ci si svegliava ogni mattina con qualche notizia agghiacciante.
Non solo stava mietendo sempre più vittime, ma stava anche rendendo i viaggi impossibili. E irresponsabili. I viaggiatori erano gli untori primari, quindi vari paesi hanno iniziato a cercare di proteggersi. Prima il Nepal ha negato i visti agli italiani, che erano tra i più colpiti del mondo; poi l’India ha fatto lo stesso, quindi non avrei potuto né andare in Nepal né rientrare in India. Questi divieti valevano, all’inizio, solo per Cinesi, Italiani, Giapponesi, Iraniani e Coreani, e non importava se non ero stata in Italia dall’anno prima, il mio passaporto spaventava tutti. In marzo, poi, il divieto per India e Nepal si è esteso a tutti.
Avrei potuto chiedere un’estensione della permanenza in India, ma gli Italiani venivano trattati come la peste. Leggevo sul gruppo fb “Italiani in India” che alcuni venivano perfino respinti dalle strutture per pernottare. Ho iniziato a dire in giro che ero scozzese, ma per pernottare viene sempre chiesto il documento e avevo sempre un po’ la paura di essere cacciata.
Le cose sono peggiorate a una velocità pazzesca, e tutto è diventato puro nonsense. In quanto Italiana, per continuare a viaggiare mi sarei dovuta fare un certificato medico per il covid, nonostante appunto non fossi stata in Italia dall’anno prima. Però non c’era la minima info su dove andare per farsi il tampone (la parola “tampone” non era neanche nel nostro vocabolario di tutti i giorni), e io cercavo di contattare ambasciate e consolati ma nessuno rispondeva perché le linee erano completamente intasate. Quando qualcuno finalmente mi ha risposto, dall’ambasciata di Calcutta, avevo mille domande. Però mi sono sentita dire “guarda, se riesci a sapere qualcosa poi richiamaci e dicci, così almeno abbiamo qualcosa da dire gli altri”. Bene!
I primi voli venivano cancellati, e iniziavano a sentirsi storie di viaggiatori bloccati qua e là nel mondo. Un’idea era di partire anticipatamente per l’Australia, ma non volevo restare bloccata oltreoceano mentre in Italia stava scoppiando il putiferio.
L’anno prima, proprio in Agosto, la mia famiglia è stata colpita dalla morte del cane, mentre ero in NZ. Ricordo il momento in cui mi è arrivata la notizia: erano le 4 di mattina, ero tornata da un festino tra viaggiatori, ed ero distesa nel letto di un ostello di Wellington. In quel periodo stavo ri-imparando a camminare, mi ero tolta il gesso da poco. Mi ero rotta la caviglia proprio mentre portavo fuori i cani di qualcun altro.
E ho pensato “ma che cacchio ci faccio qui in un momento del genere?” mentre mia sorella scendeva dalla Germania, per stare vicina ai miei, rinunciando a uno dei suoi festival preferiti. Io anche volendo non potevo essere in Italia in poche ore.
La morte del cane – chi ha un cane mi può capire – ha iniziato a farmi cambiare idea sui miei viaggi intercontinentali. Quando Merlino è morto, però, avevo appena ottenuto il visto che mi avrebbe permesso di vivere un anno in Australia.

Con il senno di poi, per me le “coincidenze” del Covid (perché proprio gli Italiani?) sono state provvidenziali. Non dovrei mettermi in testa di fare cose che non mi interessano, come andare un anno in Australia, solo per paura di perdere opportunità preziose. Ma avevo scelto comunque di voler andarci, il motivo? I salari sono ALTI, e si trova lavoro in men che non si dica: ottimo per mettere via soldi. In più, l’Australia è carica di giovani stranieri sotto i 30, con il WHV, che se la spassano, andando a lavorare 3 mesi qua e 3 mesi là nelle farm e nel frattempo viaggiano, vivono nei loro furgoni, andando a festival di ogni tipo, e si uniscono a una delle decine di comunità di artisti, in città o “off the grid”. Non suona proprio male, no?
Però la libertà di questo tipo è qualcosa che stufa. All’inizio è inebriante, poi diventa un po’ ridondante. Il problema è che dà quasi la dipendenza. Una vita così non è soddisfacente, e tendenzialmente ci si rimane “incastrati”.
Il Coronavirus in un certo senso mi ha fatto un favore, e mi ha dato la “spintarella” di cui avevo bisogno, un motivo valido per rinunciare all’Australia. A inizio marzo, finalmente, ho deciso di lasciare perdere tutti i miei piani per il 2020 e rientrare in Italia, per aspettare che le cose si sistemassero. Però, a soli due giorni dalla partenza, rientrare si è rivelato impossibile. Confini chiusi, voli e collegamenti per l’Italia cancellati uno dopo l’altro. Il diritto di tornare a casa, che avevo sempre dato per scontato, mi era stato portato via. Essere un'”appestata” in India e non poter ottenere né visti né il rientro nel mio paese mi ha aperto gli occhi sulla mia “normale” condizione di privilegiata.
Il mio volo per Venezia è stato cancellato 2 giorni prima della partenza, e sono rimasta con la tratta Bangalore-Parigi. Volendo uscire dall’India avrei dovuto rimanere bloccata a Parigi sperando che prima o poi le ambasciate mi rispondessero, per farmi rientrare in Italia. Però non volevo passare giorni in qualche hotel parigino annoiandomi a morte, in attesa di risposte che avrebbero potuto non arrivare. E avevo già perso i soldi del WHV e dei voli tra India, Nepal e Australia. Pagarmi il pernottamento a Parigi per un periodo indefinito? No grazie.
In più l’Austria aveva chiuso i confini, la Slovenia anche, chi mi avrebbe garantito che anche la Francia non li chiudesse da un momento all’altro? In quei due giorni, prima del volo Bangalore-Parigi, ho tentato di contattare aeroporti e compagnie aeree per ore, senza successo. La mia ultima possibilità era di andare in aeroporto e cercare aiuto di persona. Quasi al momento dell’imbarco per Parigi sono riuscita a parlare con qualcuno che mi ha infilato nel volo per la Scozia, e così ho seguito Josh che nel frattempo aveva, anche lui, deciso di rientrare a casa. Pochi giorni dopo, il visto per India e Nepal è stato negato anche agli scozzesi.
Ed è così che in marzo mi sono trasferita in Scozia, senza averlo pianificato nemmeno per un secondo.
Con la convivenza forzata, la relazione con Josh ha finito per diventare più interessante. C’è da dire che viaggiare assieme era stato facilissimo: è flessibile, con interessi molto simili ai miei, sa mettersi alla prova e si sa anche rilassare. Non avevo una relazione fissa da 5 anni e non lo ritenevo possibile, però grazie alla pandemia ho dato una chance a questa relazione, che aveva già superato il difficile esame del viaggio assieme.
In Scozia però non è stato tutto splendido: la nonna Margaret ci ha lasciato proprio per il Covid, che è arrivato fin dentro casa.
Inoltre nel Regno Unito, essendo tutti gli uffici chiusi da Marzo, non posso ottenere il NIN (Codice fiscale) e senza quello non si lavora. Avevo cercato di insegnare inglese online e fare un po’ di grafica, ma il mercato del lavoro online era completamente congestionato. Ormai sono disoccupata da Novembre.

Quando fuori tutto è costretto a fermarsi avvengono rivoluzioni interne preziose. Non avendo nulla da fare ho iniziato a studiare WordPress, e fare video sui dreadlocks. Ed è così che è nato dreadhead.it. Questo è stato uno dei grandi benefici che il virus ha avuto su di me: finalmente sto creando qualcosa con le mie capacità. Qualcosa di cui sono fiera, perché non ho la distrazione dei viaggi continui e neanche quella dei lavori poco soddisfacenti, fatti solo per campare. Non abbiamo sofferto più di tanto la mancanza di entrate: Josh ha ottenuto la sussistenza e nella casa di famiglia in Scozia c’è un intero deposito di mobili vecchi che ho ridipinto e venduto. In più, in Scozia il cibo vegano è a prezzi decenti e in tutti i supermercati, contrariamente dall’Italia, quindi non ho avuto grandi spese o complicazioni.

Adesso stiamo approfittando dell’impossibilità di viaggiare (anche Josh è viaggiatore “compulsivo”) per preparare il furgone in cui viaggiare la prossima estate, e lui ha anche deciso di finire il suo master. Nel frattempo i confini hanno riaperto, e i voli per l’Italia sono di nuovo abbordabili. Per cui eccomi qua, ho colto la palla al balzo per vedere i miei.
Ho passato tutto agosto qui in Friuli, e nonostante il caldo, la difficoltà nel reperire cibo vegano e i vari nonsense nelle news, lo shock di marzo del non poter rientrare in Italia mi aiuta a vivere questo paese con più filosofia. I miei nel frattempo hanno adottato un cane della stessa razza di Merlino (che gli è capitato per caso!) e hanno addirittura modificato la loro dieta avvicinandosi al veganismo, con successo.

Quindi: questo era il post di Agosto, durante il quale avrei dovuto essere in Australia, a Melbourne, a spassarmela e conoscere altri viaggiatori, anziché essere in Italia a scrivere sul mio blog. Ho perso l’occasione dell’anno in Australia, ma a conti fatti sono contenta. Il 2020 non è ancora finito e incrocio le dita, non avendo idea di cosa succederà tra qui a dicembre. Spero che questa situazione offra nuove prospettive anche ad altri, come ha fatto (enormemente!!) con me.