Storia dei dreadlocks
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ETIMOLOGIA: non è chiaro da dove derivi la parola “dreadlock”. Tradotta significa ciocche/boccoli del terrore/timore, il che potrebbe riferirsi al senso di “dread” (timore) per Dio, spesso menzionato dai Rastafariani e da altri Cristiani; quindi non è affatto escluso che “dreadlock” sia un termine Rastafariano. Un’altra teoria sostiene che chi indossava questa capigliatura aveva fatto “paura” (dread) a qualcun altro che poi ne ha scritto o parlato. Si parla di guerrieri africani, ad esempio, che hanno spaventato i primi invasori europei.
Contenuti:
I dread nell’antichità: testimonianze figurative
I dreadlocks sono ciocche di capelli che con il tempo si sono compattati tra loro fino a formare delle matasse tubolari. Questo succede spontaneamente lasciando i capelli crescere senza essere pettinati, il che vale per tutte le etnie e per tutti i tipi di capello.
Secondo la logica, quindi, la storia dei dreadlocks è iniziata con la nascita dell’uomo.
Però, se parliamo di testimonianze figurative dell’uso dei dreadlocks, le prime ci arrivano da 3600 anni fa, con questo affresco nell’isola di Santorini, Grecia, raffigurante dei lottatori con i dreadlocks.

Le età del bronzo e del ferro hanno fatto arrivare a noi molte raffigurazioni come questa. Ad esempio pare che tra gli Egizi, i Sumeri e altre popolazioni, molti portassero i dreadlocks. Però è difficile distinguere i dread dalle trecce in raffigurazioni abbastanza elementari come questa qui sopra. Si dice anche che i dread siano stati trovati su mummie egiziane, ma non ho trovato nessuna foto.
Questi invece mi sembrano inequivocabilmente dread:

I kouroi come questo, singolare kouros (κοῦρος – ragazzo, plur. κοῦροι), sono sculture greche del periodo arcaico, la cui origine si colloca intorno alla metà del VII secolo a.C. – da Wikipedia. Pare che più della metà dei kouroi che ha resistito fino a noi abbia i dreadlocks.
Nella storia dell’uomo si trovano tantissimi reperti come questo, raffiguranti (presumibilmente) dreadlocks.
Testimonianze scritte: i testi sacri
Passiamo ora alle testimonianze non-figurative della storia dei dreadlocks, in particolare quelle legate alle scritture sacre, che ci permettono di andare molto più indietro nel tempo rispetto a statue e affreschi. La prima testimonianza scritta ci viene fornita dai Veda, I testi sacri induisti, che descrivono Shiva portare i dreadlocks, chiamati “Jata” o “Jaata”. Molti “naga”, ovvero asceti seguaci di Shiva, portano ancora oggi i loro Jata. Questi Jata hanno funzioni legate all’energia spirituale di chi li porta. I santoni chiamati Sadhu, che è possibile vedere in India e in Nepal gironzolare con aria sorniona, accolti sempre con benevolenza, portano i loro dread accrocchiati sulla testa.

La Bibbia ci offre un’altra testimonianza scritta, che viene citata nelle fonti in inglese della storia dei dreadlocks. In un passo dell’amico Testamento Sansone perde la sua forza quando gli vengono tagliati i capelli. Nelle versioni in inglese i capelli vengono chiamati locks anziché hair, e per molti anglofoni questo significa dreadlocks, ma potrebbe semplicemente essere una discrepanza nelle traduzioni della bibbia.
Il ruolo spirituale dei capelli e dei dread
Dreadlocks o non dreadlocks, i capelli rivestono spesso un ruolo nella spiritualità dell’essere umano. C’è spesso la credenza che i capelli siano un’estensione del nostro sistema nervoso e che rafforzino anche l’energia spirituale della persona che li porta. A volte regalano addirittura poteri paranormali, fungendo da antenne, per captare le intenzioni altrui prima che vengano esternate. In questo senso sono ottimi per guerrieri e cacciatori. Si dice che questo sia il motivo per cui gli indiani d’america portavano i capelli lunghi, e anche il motivo per cui erano così agili nella natura.
Molti credono che la forza vitale, detta anche “qi” (leggi “CI”) o “prana”, fuoriesca involontariamente dal corpo passando per la sommità della testa, e tenere i capelli o i dread acconciati sul cucuzzolo previene o ritarda la fuoriuscita. Questo rende la persona più forte, mentalmente, spiritualmente e fisicamente. In alcuni popoli, lo sciamano porta i capelli a dreadlocks. Alcuni credono che il peso del dreadlocks aiuti il chakra della corona ad aprirsi e l’energia cosmica a fluire a noi, tra noi e da noi.
Comunque, parlando in termini più “occidentali”, i dread spesso si sono prestati bene per qualsiasi pratica spirituale, in quanto esprimevano assenza di vanità. Curarsi e pettinarsi i capelli, infatti, è un atto che esprime attaccamento alla propria immagine e al mondo materiale, perciò molti monaci sceglievano tra la testa rasata e i dread (semplicemente non pettinandosi). Questo vale per le religioni abramitiche, dharmiche e taoiche. È molto ironico che ai giorni nostri i dread siano un elemento che sembra esprimere vanità, e anch’io non posso dirmi innocente: mi piaccio molto di più con i dreadlocks.
Dreadlocks nei diversi continenti
Pare che i dread siano stati usati da popolazioni indigene ovunque, compresi i popoli pre colombiani in America e alcuni aborigeni in Australia. C’è traccia dell’uso dei dread fin dall’antichità, in tutti i continenti popolati dall’uomo. Questo è comunque ovvio, dato che i capelli si “dreaddano” da soli, se non pettinati, a prescindere dall’etnia.
Rastafari Movement!
Passiamo alla parte più interessante: i Rastafariani. Perchè i Rastafariani spesso vengono descritti come “inventori” dei dread, e perchè spesso rivendicano la loro proprietà culturale esclusiva? Spesso si pensa che la storia dei dreadlocks inizi nell’ambito del Rastafarianesimo, ma come abbiamo visto non è corretto. Però, se non fosse per il movimento Rastafari al giorno d’oggi non ci sarebbero così tanti dreahdead. Ma andiamo per ordine: cos’è il Rastafarianesimo?
Il contesto: breve storia della Giamaica
Il Rastafarianesimo è un movimento religioso-spirituale nato in un contesto di colonialismo e schiavitù, nella Giamaica del secolo scorso. L’isola è infatti stata invasa e colonizzata poco dopo la scoperta dell’America, prima dagli spagnoli e poi dagli inglesi. I giamaicani che conosciamo adesso non sono i nativi della Giamaica. Gli spagnoli hanno decimato i giamaicani nativi, e pare che ne esistessero pochissimi (o addirittura nessuno) quando gli inglesi hanno cacciato gli spagnoli pochi decenni dopo, impossessandosi della Giamaica. Si dice che i giamaicani autoctoni si siano completamente estinti entro il 1600.
Ma se i nativi giamaicani si sono estinti, chi sono i giamaicani di oggi?
I paesi colonialisti hanno supportato per secoli il mercato di schiavi, per cui molti africani venivano rapiti e poi venduti come schiavi (gli inglesi erano tra i primi acquirenti), finendo in Giamaica e nelle altre colonie nel mondo. In misura minore questo succedeva anche ad altre popolazioni di territori occupati dagli inglesi, ad esempio l’India.
Una curiosità: alcuni schiavi indiani hanno portato con sé i semi della cannabis, che nelle scritture sacre induiste viene fumata da Shiva, una delle divinità principali. La parola “Ganja”, che è comunemente associata alla Giamaica, viene in realtà dal sanscrito, l’antica lingua indiana. Si dice che gli schiavi africani abbiano iniziato a fumare ganja per via del contatto con gli schiavi indiani, che fumavano come tributo a Shiva.
Durante il periodo del commercio di schiavi, tra i 10 e i 20 milioni di africani sono stati rapiti dalla loro terra, dalla loro casa e famiglia, gli è stato tolto il diritto di essere trattati come persone, e si stima che 600.000 di loro siano finiti in Giamaica. Gli schiavi africani erano molto più richiesti di quelli asiatici, perché la loro corporatura sembra molto robusta e adatta a lavori pesanti. Il commercio di schiavi è stato abolito all’inizio del 1800, e la pratica della schiavitù in Giamaica è stata abolita ufficialmente nel 1834, però è rimasta in uso, attraverso manipolazioni e sotterfugi da parte degli inglesi, per almeno un altro secolo. I giamaicani di oggi sono i discendenti degli schiavi portati dagli inglesi, e sono quindi prevalentemente di origine africana.

Cos’è il Rastafarianesimo
Il Rastafarianesimo è una religione Abramitica, quindi monoteista, con una sua interpretazione della Bibbia. Nasce in Giamaica negli anni 30 del secolo scorso e si divide in diversi “rami” con diverse regole, ad esempio alcuni mangiano il pollo mentre altri sono al 100% vegetariani. Molti sostengono che non è una religione, bensì una “livity” o uno stile di vita, in quanto le religioni sono strumenti per manipolare le masse mentre il Rastafarianesimo, o “Rastafari Movement”, punta alla liberazione. Per i Giamaicani, il Rastafarianesimo rappresenta una sorta di ponte spirituale con quel che viene considerato il fulcro del Mondo, il centro, l’utero di mamma Africa: l’Etiopia. Questo credo non era adottato solo dai Giamaicani, ma era incentrato tendenzialmente sul tema “ritorno all’Africa”. Quindi era perlopiù abbracciato da persone con origini africane che continuavano ad essere vittime di abusi razziali.

Il Rastafarianesimo si è diffuso in Giamaica negli anni 30 del secolo scorso, quando la dittatura inglese coloniale era ancora al potere. Questa religione ha offerto un punto d’appiglio, un riferimento e una fonte di forza a un popolo che stava vivendo secoli di abusi indicibili. Anche se non approfondirò nel dettaglio il Rastafarianesimo, è utile tenere a mente alcuni punti chiave:
Il Rastafarianesimo vede il re d’Etiopia eletto negli anni 30, Hailé Selassié, come un’incarnazione di Dio (“Jah”) e la seconda venuta di Cristo. Una curiosità: il vero nome di Hailé Selassié è Tafarì Maconnèn, e veniva chiamato anche “Ras” Tafari, con il termine Ras che vuol dire capo o principe: da qui il termine “Rastafari Movement” o Rastafarianesimo.
Rastafarianesimo e ganja
Secondo il Rastafarianesimo, Jah, ovvero Dio, risiede in piccola parte in ognuno di noi e fumare ganja rafforza la connessione con il divino. Il parallelismo con la visione induista della ganja collegata al dio Shiva è piuttosto chiaro. La presenza della ganja (cannabis, marijuana) è vista come essenziale dai “rastaman” (un modo per chiamare i Rastafariani maschi), e teoricamente viene assunta e condivisa in rituali comunitari, non in ogni momento della giornata. I Rastafari inoltre predicano contro le sostanze intossicanti come alcol e droghe. Questo potrebbe confondere un po’ – perchè la ganja sì, e le altre droghe no? Vale la pena aprire una parentesi:
Domanda: se per “droga” si intende un intossicante dannoso per sé e per gli altri, potenzialmente mortale, è la cannabis una droga? Non dovrebbero l’alcol e la nicotina essere considerati di gran lunga più “droghe”? Se invece per “droga” si intende una sostanza illegale, allora sì, al momento la cannabis è una droga. In Italia. Però non dimentichiamoci che “droga” e “sostanza illegale” sono due cose spesso diverse. La cannabis non è pericolosa, non rende le persone aggressive, non fa fare scelte mortali, non causa risse, non ispira violenze sessuali. Non è difficile intuire perchè i Rastafariani la distinguono da “intossicanti”. La cannabis inibisce e tranquillizza, e nessuno è mai “morto di cannabis” come succede con alcol, nicotina e altre droghe. Se vi state chiedendo perchè allora è illegale in Italia, bè… buona domanda.
Dreadlocks e reggae music
Il Rastafarianesimo promuove uno stile di vita più naturale possibile, quindi i capelli andrebbero lasciati crescere senza pettinarli. Pare che la cosa sia anche legata al passo della Bibbia relativo a Sansone, di cui tra l’altro Ras Tafari era considerato discendente. Questo spiega come mai i Rastafariani portino così orgogliosamente chiome di dreadlocks spesso lunghissime, a simboleggiare la loro devozione al divino e alla loro causa. I Rastafariani non hanno inventato i dreadlocks, ma hanno investito un ruolo decisivo nella storia di questa pettinatura, ruolo che diventerà più chiaro negli anni 70.
Spesso il Rastafarianesimo e i suoi messaggi venivano diffusi tramite la musica reggae, uno dei pilastri della cultura giamaicana e una fonte di forza per tanti giamaicani. La musica è uno strumento accessibile anche quando si è completamente impotenti di fronte alla violenza e agli abusi – non ci è ancora ben chiaro come, ma la musica è in grado di migliorare lo stato d’animo in un attimo. Se si ascoltano i testi delle canzoni reggae non si può che provare un grande senso di stima per questi musicisti, che sembrano avere come missione il diffondere forza e positività (e offrire una sorta di guida morale e spirituale) a una popolazione che sta attraversando secoli di abusi inimmaginabili.
Lo stile “Rastafari” si diffonde nel mondo
La musica reggae aveva una forza tale che si è diffusa globalmente. Negli anni 70 del secolo scorso il fenomeno Bob Marley è esploso, e ha raggiunto tutte le nazioni occidentali. Questo ha fatto sì che molta attenzione dall’estero – da paesi ricchi – si concentrasse sulle battaglie dei Giamaicani, supportando la loro causa.

Noi europei eravamo perlopiù estranei al Rastafarianesimo, ma la musica ha comunque influenzato molta gente, e ha diffuso alcuni dei messaggi veicolati: ad esempio, quel che conta è stare bene insieme, e stare in guardia dalla “babilonia”, ovvero dallo stile di vita occidentale, in cui tutto ruota attorno al denaro e a giochi di potere. Mica sbagliato!
La musica arrivava accompagnata dalle caratteristiche fisiche e comportamentali dei musicisti, che erano quelle tipiche della Giamaica e del Rastafarianesimo: il tricolore Rastafariano, l’atteggiamento rilassato, l’uso della ganja e i dreadlocks. Sempre più persone che apprezzavano la musica reggae hanno iniziato ad adottare le usanze dei Rastafariani, e alcuni sono arrivati ad adottare il loro credo. I dreadlocks e i dreadhead in Italia hanno iniziato a chiamarsi “rasta”, perchè da noi (come in molti altri paesi) l’impennata nella diffusione dei dread è andata di pari passo a quella del successo della musica reggae.
Questo è un momento chiave della storia dei dreadlocks: dagli anni 70 ad adesso dread sono diventati uno statement, che sia politico, religioso o di stile. Sono stati adottati da autori, attori, atleti e musicisti in tutto il mondo, e tutti hanno contribuito ad allargare lo stile a più fasce di popolazione e universalizzarlo.
Oggi: i dreadlocks sono per forza “rasta”?
A 50 anni dall’esplosione del fenomeno BoB Marley, il Rastafarianesimo si è diffuso così tanto che in molti aderiscono senza avere alcuna discendenza diretta con l’Africa (anche se si dice che se guardiamo abbastanza indietro, tutta la specie umana è originata in quella che oggi è l’Africa). Esistono perfino alcuni Rastafariani Italiani. Quelli sì, va bene chiamarli “rasta”! Però avere i dread non fa di noi dei rasta, e i capelli non andrebbero chiamati rasta. A meno che, ovviamente, non siano “rasta hair”, ovvero i dreadlocks di un rastafariano.
Forse, se non fosse per il il boom di Bob Marley 50 anni fa, oggi non avrei i miei amati dread, ma è difficile dirlo… Essendo i dread d’uso anche tra i seguaci di Shiva e altre culture, ed essendo una trasformazione naturale dei capelli, (ed essendo fantastici), penso che prima o poi si sarebbero diffusi lo stesso.
I miei dread non sono una dichiarazione politica né religiosa, e non li chiamerei “rasta”. Il mio primo blog post parla di questo, e anche uno dei miei primi video.
FONTI
- Path of the Gnostic
- Wikipedia
- National Library of Jamaica
- Ebony
- Psicomed (non più disponibile)
- Dreadlocks.org
- Jamaica the colonial legacy
- Raging roots studio (articolo non più disponibile)